Intelligenza: dono o conquista?

Intelligenza

Quante volte davanti all’incapacità di fare qualcosa abbiamo detto “Non ne capisco un accidente!” oppure “Non sono portato per questo!”
Il nostro essere dipende dal nostro agire, il quale a sua volta scaturisce dai nostri interessi e dalle nostre passioni. Il non essere competenti in qualcosa non deriva da un limite naturale bensì semplicemente da una scelta, il più delle volte inconsapevole. La capacità di migliorare incontra due tipi di ostacoli che vanno superati: i limiti che noi stessi ci creiamo e un ambiente non idoneo.
Aristotele sosteneva che tutti gli uomini per natura tendono al sapere, tutti sono uguali alla nascita, o per lo meno le differenze intellettive sono minime ed irrilevanti, e tutti abbiamo le stesse potenzialità. Le differenze che emergono in età adulta dipendono da noi e dall’ambiente in cui agiamo.
In merito a questo argomento il prof. Carol S. Dweck, docente di Psicologia presso la Standford University, noto per le sue ricerche sulla personalità e sulla motivazione, ha elaborato la teoria dell’intelligenza incrementale. Per questo scienziato esistono due modi di intendere l’intelligenza:

  1. Intelligenza entitaria (dono acquisito dalla nascita).
  2. Intelligenza incrementale (capacità che va allenata e migliorata con l’impegno).

Alcuni di noi quindi vedono l’intelligenza come la statura fisica ossia come un qualcosa di dato. Altri invece la vedono come la forza e quindi come qualcosa che va coltivata e incrementata giorno dopo giorno. Carol S. Dweck definisce queste due visioni del sé come “disposizione mentale fissa”, la prima tipologia, e come “disposizione mentale alla crescita” la seconda. A questi due modi di intendere l’intelligenza vengono associati due obiettivi differenti:

  1. Obiettivi di prestazione (intelligenza entitaria).
  2. Obiettivi di apprendimento (intelligenza incrementale). [1].

Chi ha un obiettivo di prestazione agisce in vista di un premio estrinseco, per esempio lo studente che impara l’inglese per prendere un voto alto a scuola. Chi invece si prefigge un obiettivo di apprendimento agisce in vista di una crescita personale, per esempio lo studente che impara l’inglese per acquisire una capacità nuova, utile nel lavoro e nella vita. Dweck è arrivato a queste conclusioni in seguito a diverse ricerche.
Nell’esperimento più noto ha preso in esame un gruppo di studenti della scuola superiore, a cui ha chiesto di imparare una serie di nozioni scientifiche. Il gruppo è stato diviso in due: al primo è stato dato un obiettivo di prestazione e all’altro un obiettivo di apprendimento. Dopo che i ragazzi dimostrarono di aver acquisito quanto richiesto, i ricercatori gli proposero di applicare le loro conoscenze alla risoluzione di alcuni problemi. Dweck ha evidenziato che gli studenti con obiettivo di apprendimento hanno ottenuto punteggi di gran lunga più elevati rispetto ai loro colleghi con obiettivo di prestazione, e hanno lavorato di più alla risoluzione dei problemi provando più alternative possibili.
Da questo esperimento emerge che l’individuo che vede l’intelligenza dalla prospettiva incrementale considera l’impegno e la fatica come positivi e necessari per migliorarsi. L’individuo invece legato alla prospettiva entitaria agisce nel modo opposto: egli si pone obiettivi facili solo per dimostrare la propria intelligenza agli altri.
Questa teoria mostra in modo evidente come l’intelligenza umana sia direttamente correlata al nostro modo di pensare e di agire.

Thomas Grippo


[1] Dweck C. S., Teorie del Sé. Intelligenza, motivazione, personalità e sviluppo, Erickson, Trento, 2003.^

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